Una missiva di Novello Papafava e la storiografia “social-radicale”

Novello Papafava a Frassanelle negli anni Sessanta (Foto arch. Espen)

Riportiamo in questo post la riproduzione fotografica di una missiva inedita e autografa di Novello Papafava dei Carraresi, datata 2 agosto 1965, al giornalista padovano Gino Sanvido, già corrispondente dell’Avvenire d’Italia, nella quale esprime la sua valutazione su una certa storiografia della Grande Guerra “social-radicale”.

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Lettera di Novello Papafava (Foto arch. Espen)

In particolare, nella missiva si legge:

Frassanelle, 2 agosto 1965,
Bastia di Rovolon (Padova)

Caro Gino

Molte grazie per la tua buona indicazione del mio libro appena apparsa su “l’Avvenire d’Italia”. Pensa che i Reverendi Padri di Praglia hanno fatto del “Da Caporetto a Vittorio Veneto” l’argomento della loro ricreazione refettoriale; sono molto onorato!

Hai perfettamente ragione: il libro di Silvestri è una prolissa e confusa, sia pur brillantoide applicazione di quelle tendenziose prevenzioni che molto bene sono espresse dalle seguenti parole del suo storiograficamente non illustre autore, stampate a pagina 19 del n. 28 del sempre fatidico “Espresso”: “Il fondo, seguendo questi episodi, si finisce di veder chiaro nel comportamento di un’intera classe dirigente, soprattutto quella posta al vertice del potere, che diede prova di maggiore insipienza. Nessuno aveva chiara la sensazione di che cosa stesse accadendo e delle conseguenze che se ne sarebbero derivate. Neppure interventisti di sinistra come Salvemini s’accorsero che parlare in favore della guerra (sia pure contro una potenza reazionaria come l’impero asburgico) significava evocare il diavolo”.

Insomma, vi è una ganga così detta storiografica la quale scrive la storia della 1915-18 soltanto per confortare le profezie di un Giolitti, di un Serrati e di un Miglioli: questi devono avere sempre ragione; peccato che alcuni ambienti cattolici abbocchino a quest’amo social-radicale!

Questo è invece il commento della storica Lisa Bregantin a cui abbiamo chiesto un commento alla missiva: «La lettera di Novello Papafava – scrive la Bregantin – esprime a pieno il mutamento radicale di un’epoca. Da un lato le nuove generazioni che presto avrebbero dato vita al ’68 avevano interrotto qualsiasi rapporto con i “vecchi”, vecchi individuati proprio in quel nucleo ancora attivo dei combattenti della Grande Guerra; dall’altro la storiografia, pur compiendo in quegli anni studi significativi e innovativi che avrebbero cambiato il panorama storico del Primo conflitto mondiale, si caratterizza soprattutto nella forma della protesta.
Il pacifismo a tutto tondo che emerge in quegli anni di tumulti, unito all’internazionalismo, rendono incomprensibile il panorama politico e sociale della Grande Guerra. Appelli come quello di Papafava cadono inevitabilmente nel vuoto e se, in anni precedenti, rispetto alla Grande Guerra si parlava solo in chiave eroica tacendo i lati più duri, al contrario ora ci si era sbilanciati completamente all’opposto, di fatto ingenerando una storia falsata che permane la poca conoscenza di base della Grande Guerra anche della società di oggi. Improvvisamente tutti i soldati divennero traditori, le fucilazioni aumentarono a dismisura così come le proteste e, cosa assai più assurda, le famose Trento e Trieste, che tanto avevano infiammato gli animi dei patrioti per un secolo, potevano essere acquisite attraverso accordi diplomatici.
A tutt’oggi, studi seri che dimostrano l’infondatezza di tali ipotesi e che tentano di riportare lo studio della Grande Guerra su binari più equilibrati, sono ignorati pressochè completamente dal complesso della società; mentre viene ripubblicato il libro di Silvestri, contro il quale tuona Papafava. Attualissima ancor oggi la sua lettera che sottolinea il danno della storiografia politica e dell’uso politico del passato.»

Grazie ad Alberto Espen per averci messo a disposizione la lettera e al commento di Lisa Bregantin che aiuta a contestualizzarla.

 

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