Un ricordo di nonno Albano, reduce della Terza armata

Una sala del Museo della Terza Armata

Riceviamo e pubblichiamo volentieri questo ricordo della Prima Guerra Mondiale di Roberto, che è il “Custode” delle memorie di suo nonno Albano Brescello, classe 1886, di Villa Di Teolo.

Quel giorno di maggio di più di 100 anni fa, Albano, 19 anni di lì ad un mese, il Piave non lo sentì mormorare. Forse non sapeva neanche dove fosse il Piave e probabilmente neanche il Carso, l’Isonzo, la Bainsizza: luoghi che avrebbe presto imparato a conoscere molto bene. L’unico mormorio da lui finora sentito poteva essere stato quello proveniente dal “calto Bocae” dopo qualche temporale estivo. Nel settembre del 1915 partì per Casarsa, arruolato come fante zappatore nella terza armata: l’“invitta”, comandata dal duca d’Aosta. Conobbe gente “foresta” che parlava in lingue strane: l’italian, el sardegnoeo, el napoetan. Ma anche el poacco, el tedesco, el maomettan. Aveva più confidenza con Checco Beppe, il capo dei nemici, che con un certo Savoia, attribuitosi come suo re, il cui merito maggiore fu, vista la sua statura, di far arruolare anche i piccoletti.

Brescello1918Della sua classe, l’896, molti non fecero ritorno, rimasero per sempre a far da argine allo “straniero”. Dopo pochi mesi si ritrovò senza ufficiali, tutti falciati in testa ai loro plotoni con la spada sguainata. Sopravvisse per fortuna, probabilmente perché “ebbe paura e imbracciata l’artiglieria non ricambiò la cortesia”. Dal fischio intuiva dove cadevano le granate, e approfittava del fumo delle esplosioni per nascondersi. Si ritrovò con il cuore spostato di due centimetri tanti furono i bombardamenti che dovette subire rannicchiato nelle trincee.

La patria gli rubò la gioventù (“i me mejo ani”, mi diceva) e tentò di risarcirlo con un vitalizio di poche lire all’anno. Ma a lui bastavano e, abituato a non ricevere mai niente, quei pochi soldi gli parevano quasi un regalo immeritato. Schierato con gli altri reduci ogni 4 novembre davanti alle autorità, piangeva al primo squillo del “Piave”.
Piave che mai sentì mormorare.

Roberto Brescello

 

PS: ecco una biografia di nonno Albano Brescello

Albano Brescello, secondo di quattro fratelli, nacque nel giugno del 1896 sulle pendici del monte Grande, un centinaio di metri sopra Villa di Teolo. Nel 1932, messa su famiglia, “scese” in pianura pochi chilometri più sotto, sempre nella frazione di Villa, in un piccolo appezzamento di terreno a ridosso del monte Vignola. Nel ’34, nella piccola casetta di via Pastorie, nacque Antonio, mio padre, ultimo dei suoi cinque figli. Albano trascorse qui tutto il resto della sua vita che si concluse nel 1983. Nel ’63 arrivai io a fargli compagnia. L’infanzia e buona parte dell’adolescenza la trascorsi con lui tra i campi di Villa d i boschi del Vignola, del Solone e del Pirio. Le fiabe non le conosceva, ma il destino lo volle involontario testimone e protagonista della Grande Storia, e questo bastò per aver tante storie da raccontarmi. Nel 1912 trascorse sei mesi in Germania nelle acciaierie di Duisburg. Tornò rapidamente a casa con la ferma intenzione di non andare mai più “soto paron”; promessa che mantenne inflessibilmente. Spese la vita come “caretiere” per le strade di Padova e Vicenza. Un cavallo non se lo poté mai permettere, ma con il musso Tafari partiva da Villa e arrivava fino a Piacenza d’Adige o percorreva tutta la dorsale dei Berici. In piazza delle Erbe a Padova, portava legname “par i siori” e verde per i fioristi.
Ma i suoi “mejo ani” Albano li trascorse al fronte. Uno tra i più terribili: il Carso. Fante della Terza armata, prese parte a diverse battaglie sull’Isonzo, combattè nella Bainsizza e nel 1918 fu aggregato al contingente italiano spedito in Francia a dare una mano ai Francesi nei pressi della celeberrima cittadina di Verdun. La patria, non paga del suo contributo alla causa bellica, pretese, finita la guerra, un altro anno di servizio militare che trascorse a Mantova a controllare gli operai in sciopero.
Parlava della guerra sempre con il sorriso, quasi fosse stata un bella avventura fuori porta. Tante descrizioni lette nei libri scritti dai testimoni delle Prima Guerra Mondiale le ho sentite direttamente dalla viva voce di mio nonno. Storie di tubi di gelatina da trasportare sotto i reticolati austriaci, di nottate trascorse nelle buche provocate dalle esplosioni, di ripetuti attacchi fino quasi all’annientamento di tutta la compagnia, di decimazioni per reprimere le diserzioni, di soldati con il ventre perforato dalle baionette; ma anche il fascino del lungo viaggio in Francia, delle ragazze di Casarsa e della strana lingua che parlavano i sardi.
“Soldato e contadino del regno”, Albano Brescello come molti altri commilitoni non capì mai perché si doveva prendere a tutti i costi Trento e Trieste. Mai mi dette la sensazione di avere partecipato a un evento da considerarsi vittorioso. E con grande sobrietà, pur contento di avere salvato la pelle sopravvivendo a un periodo così spaventoso, con il fatalismo tipico dei nostri contadini, spesso mi diceva : “Vol dire che non era la mia ora”.

1 commento

  1. Anche mio padre classe 1899 a prestato servizio ,nella brigata Aqui 14 divisione VII corpo d’armata,III armata, i ragazzi del 99 anno fermato l’avanzata,dopo lo sfondamento di Caporetto,sull’altipiano di Asiago,sul piave,anno fermato l’avanzata,d’un corpo d’armata Austriaco,che dovera accerchiare la III armata,proveniente dalla val sugana Trento,Rovereto Ala, ed invadere la pianura padana,intercettato il nemico a d Ala e poi anno liberato Trento

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