Padova e la memoria della Grande Guerra

La produzione massificata e indiscriminata di monumenti ai caduti della Grande Guerra trova i suoi presupposti già in età postunitaria quando si pongono le basi per un processo di sedimentazione di una memoria storica nazionale. Si avvia così un percorso che Ettore Janni, nel 1918, descrive come una “invasione monumentale”. La statuaria commemorativa diventa fulcro di un moderno processo di riqualificazione dell’assetto urbano di molti centri di grande e media estensione coinvolgendone anche la toponomastica.

La Grande Guerra accentua queste trasformazioni dell’arredo urbano imponendo anche nuovi processi sociali con l’elaborazione del lutto collettivo sia in chiave laica che religiosa. Migliaia di monumenti, cippi e lapidi divengono luoghi di culto e venerazione popolare da parte dei cittadini e, come gli heròa dell’antica Grecia – collocati al centro delle agorai – contribuiscono a far radicare nelle comunità un forte senso di appartenenza.

Dall’ottobre del 1922 Dario Lupi, sottosegretario alla Pubblica Istruzione, avvia, sul modello commemorativo canadese, una campagna di realizzazione di Parchi e Viali della Rimembranza da associare ai monumenti, e affidare alle cure di scolaresche per mantenere viva la riconoscenza ai caduti della propria città. Nel successivo ventennio fascista il regime, definendo le linee guida dell’arte pubblica, scandisce sempre più il ruolo dell’artista nella società fino ad annullarne l’autonomia.
In ambito commemorativo la regolamentazione si rende pressoché necessaria, per quella che Ugo Nebbia nel 1927 definisce «la riboccante fioritura di sculture e monumenti che ovunque s’è abbarbicata, propagandosi senza tregua e senza controllo». A quest’epoca risalgono i più imponenti monumenti ai caduti realizzati nell’arco del dopoguerra.

Fig 01 Palazzo Moretti-Scarpari
La facciata del municipio di Padova, “Altare della Patria” della città

In Veneto la risultanza di queste nuove soluzioni ideologiche è distinguibile nell’“Altare della Patria” di Padova. Nel 1919 il Comune bandisce un concorso per un nuovo palazzo civico che funga anche da spazio commemorativo. Nella facciata dell’edificio i due progettisti vincitori, l’architetto Romeo Moretti e l’ingegner Giovanbattista Scarpari, danno risalto alla funzione memoriale, mentre negli spazi interni collocano gli uffici comunali. Realizzato in stile neorinascimentale il nuovo corpo di fabbrica si sviluppa su due piani e dialoga armoniosamente con gli altri edifici del comune con i quali si raccorda. Inaugurato nel 1928, accoglierà i nomi dei caduti solo nel 1933. Al centro sopra l’arco che dà accesso al cortile municipale campeggia il bollettino della Vittoria di Diaz. Fra le decorazioni scultoree della facciata sull’acroterio si stagliano quattro statue allegoriche delle virtù fasciste – Valore, Disciplina, Sapienza, Lavoro – e dalla sommità della torretta con lanterna svetta la statua bronzea della Vittoria Alata.

Quanti oggigiorno sono in grado di riconoscere il valore estrinseco del monumento? Da una serie di interviste da me condotte su un campione di circa 400 padovani di fasce d’età eterogenee è emerso che nessuna di queste persone ha saputo andare oltre l’identificazione della sede municipale.
Altrettanto poco noto in città è il sacello dedicato alle vittime civili dei bombardamenti aerei che costituisce un ancor più importante esempio di diversificazione d’uso. Dopo il trasferimento del Comando Supremo e all’aumentare dell’offensiva nemica, sono più di novecento le bombe che colpiscono Padova negli anni del conflitto. Durante i raid aerei molti civili trovano riparo nelle casematte di alcuni bastioni cinquecenteschi adibite a rifugi antiaerei. L’11 novembre 1916 una torpedine centra l’area del cinquecentesco bastione della Gatta e novantatre civili – per i quali verrà poi dichiarato il lutto cittadino – vi restano sepolti all’interno. Nel 1918 in quel luogo il Comune inaugura una lapide commemorativa e nel 1925 viene eretto il sacello sopra al quale l’ingegnere Tullio Paoletti progetta anche il primo moderno serbatoio cisterna dell’acquedotto locale. Lo spazio circolare del sacello è scandito e sorretto da contrafforti in calcestruzzo armato. Dal soffitto scende una lampada votiva in bronzo raffigurante la testa di Medusa e sulla parete di fondo un piccolo altare ripropone in rilievo bronzeo la deposizione del Mantegna. L’imponente monumento è inaugurato il 14 giugno 1925 alla presenza dei Generali Cadorna e Diaz ai quali, nello stesso giorno, viene consegnato il bastone di Marescialli d’Italia nel Salone di Palazzo della Ragione.

Sono molti gli architetti e ingegneri che nel periodo post-bellico sono coinvolti nella produzione commemorativa: Antonio Zanivan, Renato Fabbrichesi, Romeo Moretti e Giovan Battista Scarpari per citarne alcuni dei più famosi, mentre fra gli scultori che si distinguono a livello locale e nazionale spiccano i nomi di Napoleone Martinuzzi, Servilio Rizzato, Paolo Boldrin, Rocco Mozzato, Egisto Caldana, Virgilio Milani e Egisto Zago. Le loro opere, di grande impatto scenico, modificano sensibilmente la morfologia dei piccoli e medi centri urbani in cui si inseriscono.
Unico pittore noto a cimentarsi in quest’ambito è Silvio Travaglia che nel 1921 progetta il monumento di Luvigliano di Torreglia. Travaglia concepisce un monumento molto semplice, ma inserito in un contesto paesaggistico di grande spettacolarità con la cinquecentesca residenza estiva dei vescovi padovani quale sfondo.

Vi sono monumenti molto simili a questo, opere di artisti meno noti, che indugiano nella reiterazione di soggetti iconografici quali il fante, l’aquila e la vittoria alata. Nei centri più piccoli, dove i monumenti si concentrano attorno ai luoghi cardine della vita sociale, essi non solo contribuiscono a costituire una identità collettiva ma divengono nuovo fulcro delle realtà urbane che sono chiamati a riqualificare. La loro costruzione è quasi esclusivamente subordinata a offerte di denaro e oblazioni da parte delle famiglie dei caduti e delle associazioni filantropiche e combattentistiche. Singolare l’esempio nel comune di Baone che nell’anteguerra concede l’ampia area antistante la parrocchiale come campo per le partite di calcio della squadra di Este. Nel maggio del 1922 in questo stesso spazio viene inaugurato il monumento ai caduti: un’alta colonna con capitello corinzio su cui svetta una vittoria alata che regge un ramo d’alloro. La piazza, così rinnovata, diviene luogo di aggregazione sociale.

Nel secondo dopoguerra, in concomitanza con la caduta del fascismo si assiste a livello nazionale a un fenomeno di ostilità ideologica che porta alla dispersione e distruzione di svariate opere architettoniche e monumentali legate alla cultura fascista. Molti comuni hanno intrapreso negli anni significativi interventi di riqualificazione del propri centri storici spesso ritenendo opportuno spostare, alterare o infine sopprimere tanti monumenti della Grande Guerra. Già nel ventennio postbellico i monumenti subiscono sostanziali stravolgimenti strutturali per accogliere – secondo le direttive divulgate dal Ministero della Difesa – i nomi dei caduti della Seconda Guerra Mondiale. In tempi recenti alcune amministrazioni comunali hanno considerato la rilettura in chiave moderna dei propri monumenti smantellandoli parzialmente per poi alloggiarli in nuove strutture integrate in progetti di riassetto urbano. È questo il caso di Grantorto, Curtarolo, Borgoricco e molti altri.

Spiace vedere come molti enti e istituzioni del padovano non abbiano ad oggi ancora intrapreso opere di ripristino e restauro di alcuni monumenti e lapidi di rispettiva pertinenza che versano in cattive condizioni. Tra questi spiccano – per urgenza di intervento – il sacello alle vittime civili dei bombardamenti aerei, il monumento ai caduti della Chiesa del Carmine e la lapide ai caduti del ponte di Salboro, oramai quasi illeggibile come quella della Chiesa di San Nicolò.

La scultura dev’essere in grado di trasformare il luogo in cui è posta per affermare una “valenza testimoniale del proprio tempo” secondo Arnaldo Pomodoro, per arricchire un contesto di ulteriori stratificazioni di memoria. Sebbene i monumenti ai caduti appartengano alla collettività e abbiano assolto a questo compito, hanno subito una progressiva cancellazione dalla memoria comune. Solo negli ultimi tempi si è registrata un’inversione di tendenza grazie anche ad importanti censimenti sul territorio nazionale volti a restituire loro dignità storica nel rispetto di una continuità fra passato, presente, futuro.

Silvia Zava

2 commenti

  1. Lettura interessante, ci sono arrivato cercando informazioni su servili rizzato, autore del busto di p.f. Calvi, che in questo momento è davanti a me…. Nell’omonimo istituto.

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